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"Non mi piace quando ci si limita a raccontare una storia o a farne un surrogato della letteratura. Non approvo che si sottovaluti o si ecciti lo spettatore. Non voglio stimolarne la coscienza o creargli sensi di colpa. Considerato che il cinema ha il dovere di raccontare storie, mi sembra che il romanzo lo faccia meglio. Da qualche tempo, sto pensando ad un altro cinema che mi renda più esigente e si definisca come settima arte. In questo cinema c’è musica, sogno, storia, poesia." Ordinando cose a caso e a casa, ritrovo gli studi fatti per la tesi (2006) su Abbas Kiarostami e la Trilogia di Koker. Un modo anche per ricordare cosa mi ha fatto innamorare di un certo modo di fare cinema. Ad esempio, quel cortometraggio, "Nan va kuche" (Il pane e il vicolo, 1970): Il suo compito più difficile era passare accanto a un cane e avere paura. Ho comprato una bicicletta, l’ho sistemato dall’altro lato della strada spiegandogli che gliel’avrei regalata se fosse andato a prenderla passando vicino al cane. Riuscì a farlo ed entrambi ed entrambi abbiamo ottenuti ciò che desideravamo. (Abbas Kiarostami) Oppure in "Khane-ye dust kojast?" (Dov’è la casa del mio amico?, 1987) Nella sceneggiatura era previsto che lui mentre piangeva dovesse dire “tre volte”. Per questa ragione ho deciso di inventare una piccona sceneggiatura parallela. Avevo incaricato il mio assistente di fargli una foto Polaroid e di darla al bambino. Mi ero accorto che a lui piaceva molto la fotografia e gli ho detto di conservarla, ma che nessun altro avrebbe dovuto fotografarlo ancora: “Questa è l’unica fotografia che devi avere e guai se qualcuno te ne scatta un altra”. Poi, di nascosto, ho spedito il fotografo a fargli un altra fotografia, dicendogli anche di rassicurare il bambino, dirgli che Kiarostami non lo sarebbe mai venuto a sapere. Dopo un paio di giorni sono andato dal bambino: “Ho saputo che ti sei lasciato fotografare un altra volta, fammi vedere se in tasca hai un’altra fotografia”. Mi sono fatto consegnare la seconda foto e l’ho messa via. Ho ripetuto lo stesso gioco per la terza volta, ma in quest’occasione il bambino aveva nascosto la fotografia tra le pagine del suo libro. Quando ho trovato la terza foto tra le pagine del libro l’ho strappata, mentre la macchina da presa riprendeva la scena, e gli ho detto: “Quante volte ti avevo detto che non dovevi permettere a nessuno di fotografarti ancora?”, e lui piangendo ha risposto: “Tre volte”. (Abbas Kiarostami) Ecco cosa a volte fa tornare, forte, la voglia di girare cose nuove...
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Febbraio 2025
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