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“Io sono arrivato, come esule, in un Paese che aveva fatto la guerra partigiana, difeso uno statuto dei lavoratori. Sono arrivato in un Paese che era molto simile a quello che sognava Allende in quel momento lì. Oggi viaggio per l’Italia e vedo che l’Italia assomiglia sempre di più al Cile, nelle cose peggiori del Cile…” SANTIAGO, ITALIA parla di noi. Nel bene e nel male, una buona abitudine del Maestro Moretti. C'è una scena dove istintivamente ho messo una mano sul cuore: all'improvviso sul grande schermo compare Gian Maria Volontè, durante una manifestazione a sostegno del popolo cileno costretto a lasciare la propria Terra. Uno degli intervistati parla della sorpresa provata nel vedere quell'attore famoso in prima fila, commosso davanti alle loro storie. Per qualche secondo il volto e la voce di Volontè tolgono il fiato, è come essere insieme a lui e ai cileni. Pochi, preziosi, secondi che valgono oro. Il film è intenso, consiglio a tutti gli esseri umani di guardarlo. E l'attivismo di Volontè mi porta, ancora una volta, a riflettere. Pare che il set di “Giordano Bruno”, del 1973, fosse pieno di profughi cileni ai quali Volontè cercava di procurare lavori, anche come comparse: “Alcuni di loro interpretavano i cardinali dell’Inquisizione e durante le pause delle riprese vedevi questi sudamericani vestiti da prelati che leggevano ‘l’Unità’”. FONTE ALBERTO CRESPI Ecco cosa vuol dire #PrenderePosizione: avere un ruolo nel mondo al di fuori del proprio, fare qualcosa di utile per la collettività. Vale per gli artisti, ma, soprattutto, per noi semplici cittadini.
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Anche se il nostro maggio Ha fatto a meno del vostro coraggio Se la paura di guardare Vi ha fatto chinare il mento Se il fuoco ha risparmiato Le vostre Millecento Anche se voi vi credete assolti Siete lo stesso coinvolti E se vi siete detti Non sta succedendo niente Le fabbriche riapriranno Arresteranno qualche studente Convinti che fosse un gioco A cui avremmo giocato poco Provate pure a credevi assolti Siete lo stesso coinvolti Anche se avete chiuso Le vostre porte sul nostro muso La notte che le pantere Ci mordevano il sedere Lasciamoci in buonafede Massacrare sui marciapiedi Anche se ora ve ne fregate Voi quella notte voi c'eravate E se nei vostri quartieri Tutto è rimasto come ieri Senza le barricate Senza feriti, senza granate Se avete preso per buone Le "verità" della televisione Anche se allora vi siete assolti Siete lo stesso coinvolti E se credete ora Che tutto sia come prima Perché avete votato ancora La sicurezza, la disciplina Convinti di allontanare La paura di cambiare Verremo ancora alle vostre porte E grideremo ancora più forte Per quanto voi vi crediate assolti Siete per sempre coinvolti Per quanto voi vi crediate assolti Siete per sempre coinvolti (Fabrizio De Andrè) Mi viene in mente quel film di Ettore Scola, “Concorrenza sleale”. Uno dei personaggi, interpretato dal bravissimo Augusto Fornari, a un certo punto diventa così tifoso del fascismo da arruolarsi. Ma è così incapace di prendere posizioni, così poco autoritario, che alla fine per errore si ferisce da solo con un fucile. Ecco, oggi mi viene in mente questo personaggio. Lo vedo spesso (più su web che in strada, ma il passo può essere breve). Ma non mi spaventa. Perché la società che combatte, per fortuna, è migliore di lui. E forse pure più numerosa, anche se soffre di solitudine ultimamente. Ma capita di incontrarci, un po’ alienati eppure uniti, in qualche modo. Con un pugno chiuso sulle note di Varsavia di Pierangelo Bertoli, con la cassiera che ti offre una birra per scusarsi della lunga attesa. Con il goffo signore che mangia patatine a sbafo ma ti guarda con complicità e dice “te lo passo io il piatto, se non ci aiutiamo tra noi compagni…” e poi va via. Con i canti sulla Resistenza in luoghi chic della Milano da bere che spesso tira fuori un cuore dal colore giusto, al posto giusto. Esiste insomma una massa di persone che ha semplicemente voglia di condividere, di condividersi. Ma non con un click. Ah, quel pugno chiuso era accompagnato da un grido “non si deve ballare questa, una canzone così politica non si balla mai! Ricordatevelo!“ Ecco, ricordiamocelo, che a furia di ballare sul mondo rischiamo di farlo rotolare male chissà dove. Nessun futuro ultramoderno. E’ raggiunto il culmine del progresso il nostro percorso cambia inesorabilmente ed ecco iniziare la lunga discesa. Di rado qualche ostacolo pare fermare la corsa ma è solo un'illusione creata dalla speranza e si ricomincia più veloci di come si salì senza immaginare la sorpresa dell’arrivo. La paura che sale dalle gambe e crea quel panico che riporta i ricordi all'origine. I più nascosti riemergono dal baratro, un sorriso, un pianto, e si precipita. Nessuno capirà, nessuno reagirà sarà subito abitudine la nuova realtà. La discesa è finita, e mentre accendo il fuoco con due pietre dietro l’angolo sento la lotta. Chi non muore avrà il suo pezzo di pane. da In questa nostra stanza (Vitale Edizioni, 2005) Il buon esempio. #ilbuonesempio @ilbuonesempio Da anni in qualsiasi contesto, pubblico o riservato che sia, cerco e chiedo un buon esempio da seguire. Invece niente, trovo solo belle citazioni del passato. Belle facce del passato che inevitabilmente diventano mie. Scolpite sulla mia pelle. Ultimamente incontro spesso Peppino Impastato: negli occhi del militante di Radio Aut conosciuto al The Bridge Cafè, nei manifesti appesi nel parco di Chiesa Rossa durante un ritrovo politico, sul web citato da chi ha (ancora) dei buoni modelli da seguire o dagli imbecilli dei nostri tempi che insultano anche i morti. Lo ritrovo in quelle foto senza tempo. Peppino Impastato è senza tempo. Con ideali. Non uno di quelli "moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta va bè, ma di morte lenta". E oggi avere un ideale è come scegliere di stare fuori dal tempo. Allora ci si alza al mattino col desiderio di incontrare di nuovo al bar un militante di Radio Aut, che parli di come si stava insieme, di come si costruivano le proteste attraverso i vari linguaggi artistici. Del senso della collettività. Della condivisione (senza click e senza mouse). Oppure di camminare per le vie di Milano e imbattersi in piccole grandi bellezze fatte di citazioni sui muri, disegni, immagini, ricordi. Immagini e parole che mantengono viva la speranza di imbattersi prima o poi nel vero cambiamento o, magari, nel buon esempio. Un mare di gente a flutti disordinati s'è riversato nelle piazze, nelle strade e nei sobborghi. E' tutto un gran vociare che gela il sangue, come uno scricchiolo di ossa rotte. Non si può volere e pensare nel frastuono assordante; nell'odore di calca c'è aria di festa (Peppino Impastato) Un pomeriggio aspettando lei in una stazione ferroviaria calabrese, ascolto un individuo seduto al bar. Seduto da diversi anni presumo. Io e un paio di ragazzi africani giriamo a zonzo in solitudine. Tutti in attesa. Insieme a lui al tavolo del bar un paio di persone silenziose, del tutto disinteressate al suo monologo. Poi all'improvviso arriva una signora: "Tutta colpa i chissi i sinistra. Te lo dico io che gli farei a questi, guardali, stanu cà. Cose da pazzi. Non devono venire qui, lo volete capire o no? Poi sai che ti dico compà...ahhhh ciao carissima, come stai? Da quanto tempo, che fine hai fatto? Lavori sempre eh, mi hanno detto che sei brava, che senza te la gelateria non funziona! Brava! Come? Ma no parlavamo di questi che vengono e non fanno niente e ci rubano il lavoro! Ma no di te, fossero tutti come te, poi il tuo paese è bello. Non come quello degli altri. Come si chiama il tuo paese? Ah si si, ora mi è venuto in mente! Poi te l'ho detto, un conto è che vieni qui e lavori, produci, un conto è che vieni qui a non fare niente e rubarmi il lavoro. Ho ragione o no?" Illuminante! “Viviamo nella paura, ed è così che non viviamo” diceva qualcuno. Ecco la grande paura del nostro secolo! Il furto del far niente! Il potere è stare in piedi all'angolo di una strada senza aspettare nessuno, diceva Gregory Corso. Chissà se è mai stato a Salina. Salina. Tutti ti parlano, tutti ti sorridono. Anche i vecchi che forse desideravano una vita diversa o semplicemente una vita sulla terra ferma. “Dove si mangia il pesce fresco qui?” chiedo a una signora in strada. “Dopo la piazza, al mattino il papà anziano lo va a pescare e la sera i figli lo cucinano. Prendilo arrosto, è buono. Mi piacerebbe andarci, ma nessuno mi ha mai invitata a cena. E' strana la vita qui. Siamo pochi. Mi sarebbe piaciuto essere invitata da un bell'uomo, fare il giro dell'isola. Andare a mangiare il pesce fresco. Amarlo. Crescere i figli. Aspettarlo. Perché qui devi sempre aspettarlo di ritorno dalla terra ferma. Mi sarebbe piaciuto ma sono felice anche così. A vivere in un posto che anche tu sogni la notte o forse a occhi aperti. Affari tuoi. E sono felice di vedere i vostri volti contenti. O comunque volete esserlo. A volte è come esserlo. E' strana la vita qui. Ma siamo felici anche quando ci sentiamo soli. Non è bellissimo questo? Adesso vai, che il pesce fresco poi finisce e a voi lascia gli scarti! Andate, salite fino in cima e non stancatevi. Non stancatevi mai” Tutti e due seduti. Due tavoli diversi. Non si guardano, sorseggiano ogni tanto una birra, l'ennesima della serata o la stessa da due ore? Uno un tempo era falegname. Ora è un vecchietto di quelli che mette buonumore solo a osservarlo. Viso sereno, sorriso facile. Il fisico non deve essergli amico, la magrezza e le stampelle lo confermano. Ma è sereno e si vede. Solo? Non lo so, ma pare felice e senza paura. L'altro un tempo faceva i suoi personali comizi razzisti nei bar. È l’unico ricordo che ho. Ora è quasi anziano, vestito elegantemente. Gioca a carte con altra gente ma non parla mai. <<Buonasera>>, per la prima volta l'ho salutato (anche se con i fascisti non parlo). Ha risposto, ma pareva assente. Guardava la televisione. In quel momento c'era uno di quei film di Woody Allen in cui il protagonista ha una paura matta della morte. Uno felice, l'altro no. Entrambi a dover convivere quasi da estranei in un paese che non ha voglia di farsi troppe domande. Torno a casa con la sensazione di dover preparare una valigia sempre più pesante, ma le parole di un sindaco di un paesino calabrese mi distraggono. Dice cose belle. Mi rendono orgoglioso della mia terra. Mi fa capire che dobbiamo sempre guardare oltre la nostra stanza. “chi siamo noi per decidere della vita di un’altra persona? Come ci permettiamo?” “e chi siamo noi per limitare la libertà di movimento delle persone?” “io sono uno zero. Io condivido la mia vita con gli zero, con gli ultimi” Una sera a Stromboli. Una sera da turista. Un ragazzino sveglio (molto sveglio, troppo sveglio) chiede: "ma voi dalla Calabria cosa andate a fare a Milano?" Sbaglio risposta: "...per lavoro" E lui: "e non potevi andare in Puglia, o in Basilicata?" Mi ha fregato. Dopo qualche giorno, di ritorno verso casa, penso alle parole del giovane curioso. Penso tra me e me o forse ad alta voce: a casa? Ma io non ho Una casa. Io voglio sentirmi a casa ovunque. Ecco la risposta giusta da dare al ragazzino sveglio di Stromboli: partiamo, andiamo via per visitare e conoscere tutte le nostre case. Il cielo è uno ed è di tutti. La terra pure. E divento sordo davanti a tutti gli idioti che rivendicano di appartenere a una terra che quotidianamente stuprano. Che non sanno accogliere ma pretendono di essere accolti. Che chiedono e non sanno dare, ma la domenica tutti a pregare per paura di far piangere il proprio Cristo. Che sanno minacciare solo dalla propria Stanza davanti a uno schermo, in attesa di esser chiamati dalla mamma o da una santa donna di passaggio: "è pronto da mangiare, vieni!" Retorico? Si. Ma è il male minore di questi tempi. Non poter aprire gli occhi in una stanza comunque buia. Se capita devi per forza aggrapparti a qualche bel pensiero, che sia materiale o onirico. Viviamo un tempo in cui tutto deve bruciare in fretta, anche le nostre stesse emozioni. Ma se capita di doversi fermare per forza qualche attimo in più, che sia disteso sul letto o in riva al mare, seduto dentro un freddo torrente di montagna o tra le vie del tuo quartiere, allora ecco che ti ritrovi davanti quel vortice dal quale cerchi sempre di scappare. E per una volta non lo sfidi ma lo osservi, lo contempli quasi con affetto. Eppure non vuole te. Passi la vita a pensare che un vortice ti voglia inghiottire ma in realtà per Lui nemmeno esisti. Gli fai anche un po’ schifo probabilmente. Una sera di qualche anno fa, costretto al buio, ho scoperto una canzone che mai più scorderò. Una canzone diventata un mio bel pensiero in quella Stanza comunque buia. |
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Marzo 2024
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